A cura di Eli Brant.
Beh, non è semplice recensire il buon vecchio Jack.
Va a finire sempre che prima o poi la spunti lui.Ma stavolta sarò più accorto, lo prometto. Blunderbuss (trad. l'Archibugio) è il primo album solista di John Anthony Gillis, meglio noto come Jack White. Dopo
lo scioglimento dei White Stripes e le varie esperienze con i The
Raconteurs ed i The Dead Weather decide finalmente di dare alla luce la
sua prima creatura a suo nome.
"[...]un album che non avrei
potuto pubblicare prima di oggi. Ho evitato di pubblicare dischi a mio
nome per molto tempo, ma ho l’impressione che queste canzoni possano
essere presentate solo a mio nome. Sono state scritte da zero e non
hanno avuto nulla a che fare con altro che non sia il mio modo di
esprimermi, i miei colori e la mia tela...".
+L'album è stato
concepito e realizzato da Jack nella sua Nashville, dove ha sede la
Third Man Records - label di cui è fondatore e proprietario e dove ha
costruito il suo rifugio: uno studio di registrazione che pare sia
un'autentica meraviglia dell' “analogico”, in totale controtendenza con i
tempi e proprio per questo in pieno stile White.
Ad accompagnarlo
è un cast d'eccezione: voci femminili (la ghanese Ruby Amanfu in Love
Interruption, Karen Elson - ex-moglie di White), l'incredibile pianista
Brooke Waggoner (cui forse va il merito di rendere frizzanti molti brani
altrimenti meno tesi), il contrabbassista Bryn Davis ed infine
un'intera band: Pokey La Farge & South City Three. La maggior
parte di questi sono presenti anche nel tour dando luogo a due veri e
propri gruppi divisi per genere: uno di uomini, l'altro di sole donne.
E pare che sia lo stesso White a colazione a decidere (immagino a seconda dell'umore) chi suonerà la sera. Le
aspettative quindi non potevano che essere altissime: in fondo stiamo
sempre parlando della mente più illuminata del rock/blues degli ultimi
dieci anni. Non c'è infatti collaborazione o progetto che veda la sua
partecipazione che non abbia un seguito planetario e che soprattutto
non contribuisca ad ispirare nuovi sentieri per l'intera scena rock. Jack, questo bisogna dirlo, è un vero e proprio maestro del suono. Oltre
ad essere un polistrumentista (batteria e chitarra oltre a piano e
naturalmente voce) è anche uno di quelli che possiamo definire
“oltranzista del genere”: con lui insomma non si corre il rischio di
strabordare dal blues-rock senza però che questo porti a risultati
stantii o al rischio di scadere nel già sentito. La sua è una
ricerca costante ed i risultati sono evidenti anche da un semplice
confronto tra il sound grezzissimo (chitarra e batteria) degli esordi
con i White stripes ed il barocco classicheggiante di quest'ultima
opera.
Ormai White viene universalmente considerato (giustamente)
come un guru del genere e nonostante ciò, lui sembra sempre conservare
il suo fare altero e dimesso: lontano dallo star system, ma senza per
questo spingersi fino allo snobismo o a disprezzare collaborazioni
“scomode” (ad es. con Alicia Keys o con Danger Mouse) per semplici
questioni di integrità di “genere”. Blunderbuss in un certo senso è la sintesi di tutto questo. E'
un album ricchissimo di generi, un estratto di esperienze molto
eterogenee tra loro, mischiate in un pot-pourri dal gusto agrodolce. Il
motivo conduttore è certamente il blues rivisitato in chiave White, con
l'aggiunta di un po' di country ed un pizzico di soul/swing anni '60. Il
tutto condito dalla solita vena rockettara di Jack che maschera le note
più aspre e rende il tutto estremamente digeribile e moderno.La prima parte dell'album è letteralmente indimenticabile.
I
primi sei brani sono dei veri capolavori di genere (faccio davvero
difficoltà a scegliere il migliore (forse Love interruption)
"I want love to roll me over slowly
Stick a knife inside me
And twist it all around.".
In ogni caso contribuiscono a rendere Blunderbuss un'ottima opera prima. Peccato però per la seconda parte (e qui viene fuori il mio lato poco “americano”). Da
qui in poi infatti, a mio parere i brani, benché gradevoli, diventano
un po' faticosi ed a tratti sembra che la macchina White inciampi in
piccoli tranelli di stile. Niente di grave sia chiaro, stiamo sempre
parlando di un grande LP. Ci sarebbe anzi davvero bisogno di almeno un
paio di album così all'anno per far riprendere un po' di fiato al rock. Ma
la realtà è che questa sarebbe potuta essere davvero un'opera
incantevole, se solo Jack non si fosse lasciato andare a piccoli
manierismi che dopo un po', effettivamente, lasciano del dolciastro in
bocca. E questo nonostante la simpatia nei suoi confronti che a tratti, lo ammetto, degenera in vera e propria venerazione. Al diavolo Jack, non riuscirai a farmi dire che è un capolavoro! Blunderbuss è (solo?) un ottimo album. Col rischio (questo è chiaro lo so) di essere smentito. Ancora una volta.
VOTO: 70/100
Recensione: Jack White - Blunderbuss (2012)
May 09, 2013
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