Live report: Radiohead - London, 02 arena 08/10/2012


Recensione a cura di Fabio S.

Dopo una lunga attesa (biglietto preso a marzo) i Radiohead si sono finalmente esibiti all’O2 arena di Londra, per due sere di fila, registrando in entrambe le occasioni il tutto esaurito.
E’ il tour di The King of Limbs (2011), album che ha fatto storcere il naso a molti fan, compreso al sottoscritto. In più, dall’uscita dell’album ad oggi i Radiohead hanno lavorato su una serie di singoli, ed era lecito così aspettarsi da questo live qualcosa di freschissimo.
Arrivo poco prima dell’orario di inizio, complice un sistema ticketless anti-bagarinaggio che ha causato file lunghissime. Nell’ovazione generale entrano ad uno ad uno gli elementi del gruppo, e con mia grande sorpresa noto la presenza di due batteristi.
Pronti e via, si apre con Lotus Flower, singolo dell’album, con un Thom Yorke divertito che se la balla esattamente come nel video. Lo spettacolo scenografico è straordinario: 10 schermi sospesi in aria mostrano i particolari dei membri del gruppo e degli strumenti, disegnando sempre nuove geometrie, accompagnato da un gioco di luci dai toni molto forti. Straordinario.
Si continua con 15 Steps, bellissima opening track di In Rainbows, Bloom, una delle canzoni meno digeribili dell’ultimo album, e Kid A, in cui Thom utilizza il voice box, che io personalmente odio, e che infatti rende la canzone davvero poco piacevole.

Si abbassano le luci e Thom si siede al pianoforte, quasi di spalle al pubblico, per eseguire una delle ultime canzoni del gruppo: The Daily Mail, che parte con voce e piano in un crescendo che man mano coinvolge tutti gli altri strumenti. Molto bella.
E’ il turno di Climbing up the Walls, che in un certo modo mi tranquillizza, portandomi a pensare: “evvai, non si sono dimenticati di Ok Computer”. Me la godo fino in fondo, intuendo già che questi bei momenti di un lontano ma amatissimo passato saranno pochi e fugaci.


Il concerto procede tra alti e bassi, scelte felici ed infelici (almeno per i fan storici del gruppo). Le scelte infelici, dal mio punto di vista sono: Myxomatosis, sicuramente non la più bella di Hail to the Thief, The Gloaming e Like Spinning Plates, canzoni che non ho mai capito e mai capirò, Feral, il punto più basso dell’ultimo album, e Identikit, parte del blocco di canzoni nuove, ma che non riesce a trasmettere molto.
A risollevare l’animo ci sono: Separator, una canzone non da amore a primo ascolro, ma che poco poco riesce sicuramente a conquistarti; Nude, stupenda, una delle mie preferite di In Rainbows; These are my twisted words, un pezzo nuovo, abbastanza lungo e quasi tutto strumentale, per certi versi pinkfloydiano. Sicuramente la novità più interessante del gruppo.
I due punti di estasi sono invece Idioteque, un capolavoro per il suo genere, e soprattutto la tanto amata Karma Police. L’unica canzone dell’intero concerto in cui tutta l’arena è riuscita a lasciarsi andare e a cantare a squarciagola “I lost myself... I lost myself” insieme a Thom. Roba da pelle d’oca.
La prima parte termina qui, e io sono sicuro che durante quei pochi minuti di pausa ognuno in cuor suo sperava di poter ascoltare qualcosa di “vecchio”; sono convinto che Creep, High and Dry, Street Spirit, No Surprises stavano rimbalzando da cervello a cervello in una sorta di passaparola silenzioso. Ma ahimé, nada. Non avranno nessuna pietà di noi.

Il primo bis è composto da 5 canzoni, tra cui spiccano Weird Fishes/Arpeggi e Reckoner, piccole gemme dello straordinario In Rainbows; Morning Mr. Magpie, la mia preferita di The King of limbs; Staircase, pezzo nuovo che non riesce a lasciare il marchio, e la tristissima ma bellissima Pyramide Song.

Pausa. Resta l’ultimo bis e l’ultima speranza. Le canzoni da voler ascoltare sono tante, forse troppe, e ho la sensazione che il concerto sia volato senza mai davvero decollare.
C’è tempo per altre tre canzoni: Give Up the Ghost, l’ennesima canzone del nuovo album un pò anonima, There There, fantastica, e per concludere Everything is in the right place, durante la quale i vari membri del gruppo escono di scena, ad uno ad uno, partendo proprio da Thom.
Il palco è vuoto, le luci bassi, e in sottofondo restano alcuni effetti elettronici dell’ultimo pezzo.
La gente si guarda intorno per cercare di capire lo stato d’animo degli altri, mentre ci si incammina verso l’uscita, sicuramente con un pizzico di delusione.
La sensazione che ho avuto è che i Radiohead hanno concepito il concerto per loro stessi, e non per i fan. Hanno suonato quello che a loro piace suonare, rendendo evidente ormai la direzione elettronica presa dal gruppo, iniziata nel 2000 con Kid A e sfociata in The King of Limbs, la loro opera più complessa, quella più difficile da capire e accettare.

Ho visto troppa poca gente davvero coinvolta da questo concerto. Molti erano fermi sul posto, e in pochissimi hanno cantato, mentre Thom Yorke & Co. si divertivano da matti sul palco. Da fan storico dei Radiohead, sono deluso che il gruppo non sia andato incontro ai suoi fan proponendo una setlist più completa e variegata, includendo soprattutto i grandi classici. Tutti ne sarebbero rimasti molto più soddisfatti.
Sono felice di averli visti dal vivo, per la prima volta, anche se è stato il concerto più caro al quale sia mai andato. E’ stato comunque uno show straordinario, durato anche tanto, due ore abbondanti.
Non credo ci sarà però una prossima volta.


Giovanni Gagliano

Passionate about music I wrote my first article for "Given To Rock" in 2012, reaching now 30K global followers. I am also a musician, gigging around London.

Previous Post Next Post