Recensione a cura di Antonio Spina.
Puó una band che ha fatto della “pesantezza sonora” la sua arma letale per sfondare le porte dell’Olimpo heavy metal, ridimensionare la sua natura senza pero’ alterare se stessa cambiando genere musicale, con il rischio di scadere nell’abbisso della melma musicale che, ahimè, attanaglia i giorni nostri? Bene. Ad una tanto chilometrica domanda é possibile rispondere con un “ASSOLUTAMENTE SI” che potrebbe far distorcere il naso ai piu’.
I Mastodon-tici quattro di Atlanta sembrano aver trovato la ricetta giusta per proporre al pubblico un heavy-metal che sia mainstream e piú accessibile alle orecchie piú “delicate”. Attenzione pero’ a non confondere le idee aspettandosi un disco soft perche Once More Round The Sun non lo é. Magari per i fan piu’ sfegatati (come il sottoscritto) potrebbe essere un cambiamento di rotta rispetto a pezzi da battaglia come Crusher Destroyer o Shadows that move e forse lo é. Ma a volte i cambiamenti di direzione rappresentano non tanto un'involuzione ma un'evoluzione qualitativa in tutti gli aspetti che compongono la struttura di un album. Once More Round The Sun si apre con Tread Lightly: intro di chitarra acustica e via con un accordo in power-chord che apre le danze. La voce di Sanders si fa piu’ melodica, meno growl (quasi scomparso nell’intero disco) e lo si evince dal bridge-ritornello, un’apoteosi epica canora contornata dai cori sempre presenti del batterista Brann Dailor. Ed e’ proprio Dailor la voce di Motherload. E’ vero, tre-quarti dei componenti della band hanno dato le voci alternandosi negli album precedenti e continuano a farlo in questo disco,ma la palma del “migliore” va proprio a Dailor: in Motherload si assiste a quello che potrebbe essere eletto come “miglior chorus dell’anno 2014”(non ancora concluso pero’). Il pezzo é quanto di piu’ orecchiabile ci si possa aspettare ed il ritmo incalzante e coinvolgente ne fanno forse il pezzo migliore in termini radiofonici. A proposito di radio High Road é il singolo lanciato dalla band per introdurre al disco. Mi ha subito colpito soprattutto dopo averne visto il video(del quale consiglio la visione). Il singolo funziona…funziona alla grande e fa muovere la testa che e’ un piacere. Qui il ritornello e’ cantato sempre dal buon Dailor il quale riesce ad addolcire la strofa baritona e possente di Sanders. Il pezzo non ha pause ne cali ritmici…e’ continuo e scorre che e’ una favola. Sulla scia dei precedenti pezzi troviamo il brano omonimo Once More Round The Sun, cantato dal chitarrista Brent Hinds. Questi cantano proprio tutti!!! (ad eccezione dell’altro chitarrista Bill Kelliher che si limita ai cori). Il mood e’ un allegretto fottutamente rocknroll e traghetta il disco al quinto pezzo Chimes at Midnight.
A questo punto dopo aver ascoltato i primi quattro pezzi qualcuno avrebbe potuto domandarsi:” Ma sono i Mastodon!?!?!?!”. Beh si…sono proprio loro,non ci credevo nemmeno io. Se avevate intenzione di ascoltare un pezzo piu’ complesso e articolato Chimes at Midnight e’ quello che stavate aspettando. Un intro ipnotica esplode in un incedere incessante di chitarre concatenate con i ritmi costanti e diretti di una batteria registrata davvero alla perfezione(suono incredibile). Asleep in the deep e Feast your eyes sono i pezzi piu’ “prog” del disco. Entrambi bene strutturati,arrangiati alla perfezione che fa anche schifo…..non si riesce proprio a trovare un difetto a questo disco. I suoni sono una meraviglia, mai plasticosi e sempre ben definiti. Con Aunt Lisa raggiungiamo il punto piu’ alto del disco:pezzo azzeccatissimo nel quale si alternano le voci di Hinds e Dalor. I tempi irregolari e le acrobazie batteristiche si alternano a melodie disincantate inframezzate a meta’ pezzo dal primo grohl del disco che introduce un outro al quanto “ramonesiano” ai cori di “Hey oh let’s fuckin’ go!”. Ember city e Halloween sono i due pezzi che introducono la fine del disco.Entrambi sulla stessa cresta d’onda di primi brani del disco. Coinvolgenti,diretti, senza metti termini e volti a catturare l’attenzione dell’ascoltatore fin dal primo approccio. Mai banali,mai ripetitivi. Se cercavate l’Oblivion della situazione (mi riferisco al pezzo di apertura del disco Crack the skye) l’avete trovato nel pezzo di chiusura: Diamond in the witch house. Qui tutta l’anima prog della band appare nella sua massima espressione, in sette minuti nel quale e’ impossibile skippare pezzo perche’ ci si aspetta sempre qualcosa:un cambio di tempo, una linea vocale in dissonanza piuttosto che l’introduzione di sintetizzatori…e si viene accontentati in tutti i casi. Una suite di note efficace e in grado di lasciare l’ascoltatore con un senso di pienezza una volta concluso l’ascolto del disco. Difficile.
Molto difficile se non impossibile trovare un difetto a questo CAPOLAVORO musicale, di una band che con la sua voglia di rock, puro e crudo, riesce a lasciare indietro anni luce le dirette concorrente in termini di conciliazione degli aspetti di composing, gusto musicale, tecnica e feeling. Non a caso in Inghilterra ha raggiunto nel giro di pochi giorni le vette delle classifiche. Quell’Inghilterra nel quale l’heavy metal é nato. E gli inglesi certe cose ce le hanno proprio nel sangue. Buongustai. Disco da insegnare nelle scuole.
VOTO 95/100 (mezzo punto in meno perche’ avrei preferito la presenza di alcune bonus tracks)
Tracklist:
01.Tread Lightly
02.The Motherload
03.High Road
04.Once More 'Round the Sun
05.Chimes at Midnight
06.Asleep in the Deep
07.Feast Your Eyes
08.Aunt Lisa (feat. The Coathangers)
09.Ember City
10.Halloween
11.Diamond in the Witch House (feat. Scott Kelly)