Live report: Dream Theater - Teatro antico di Taormina 10/07/2019

LIVE REPORT A CURA DI ACHILLE DIONIGI

Non sono un fan dei Dream Theater. Una volta ero giovane, il mio gusto era in via di definizione e mi piaceva molto Images And Words. Il mio potenziale amore per i Dream Theater si spense poco alla volta: Awake era un buon disco, ma aveva la colpa di avere perso una sfida impossibile contro il mostruoso album precedente; Falling Into Infinity l’avrò ascoltato tre volte in croce e poi ho dimenticato della sua esistenza; Scenes From A Memory è stata la pietra tombale del nostro rapporto, nonostante l’innegabile qualità, troppo melenso per un ragazzo i cui gusti viravano sempre di più verso i lidi estremi del panorama metallico.

Sono passati venti anni, i Dream Theater hanno registrato una caterva di album dei quali non conosco nemmeno una nota. Poi scopro che sarebbero venuti a suonare in Sicilia. Inizialmente la notizia non mi ha scosso più di tanto, ed infatti ho fatto passare parecchio tempo prima di prendere i biglietti. Perché mi sono deciso? Perché avrebbero suonato al Teatro Antico di Taormina. Taormina è uno splendido paesino, vittima del turismo modaiolo, a 200 metri d’altezza sul mare. Una delle sue estremità ospita un teatro greco che porta piuttosto bene i suoi duemila e rotti anni d’età e che offre un panorama mozzafiato con vista sulla costa e sull’Etna. Vi lascio qui una foto, affinché vi possiate fare un’idea.

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Ed anche una foto serale, come si presenta durante i concerti.

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Ho visto alcuni concerti al Teatro Greco, ma si è sempre trattato di musica sinfonica e opere liriche. Potevo farmi sfuggire l’occasione di poterci ascoltare dentro del metal, seppure distante dal mio gusto? E fu così che mi ritrovai con un biglietto in mano.

Il pomeriggio del giorno del concerto lascio la mia città, i suoi 42 gradi di temperatura e gli incendi che divampano da tutti i lati e mi dirigo verso Taormina. Mi sorbisco un po’ di fila ai cancelli e poi prendo posto in cavea, posizione centrale, in alto.

Poco dopo il mio arrivo inizia l’esibizione di Jason Richardson, già chitarrista di Born Of Osiris e All Shall Perish, da alcuni anni impegnato nella sua carriera solista (grazie Wikipedia, io non sapevo nulla dell’artista in questione). Per l’occasione si presenta accompagnato solo da un batterista e da basi registrate che coprono tutti gli altri strumenti e, alla bisogna, pure il cantante.
Il concerto mi ha lasciato assolutamente freddo. Un sacco di tecnicismi, milioni di note, un unico grande assolo che ha attraversato il concerto dall’inizio alla fine, il tutto condito da suoni privi di corpo e complessivamente mosci. Con un quarto delle note eseguite e la metà delle seghe sarebbe venuto fuori un concerto più gradevole, credo. Ma magari sono solo io che sono vecchio e non capisco il metal dei giovani.
Il pubblico educatamente applaude ma la reazione generale è di distacco. L’età media in platea è abbastanza alta e sono tutti lì per i Dream Theater.

Nei minuti successivi i tecnici smontano le quattro cianfrusaglie dell’opening act e pian piano esibiscono i giocattoli che riposavano sul palco, coperti da teli: la tastiera di Ruddess, montata su una sorta di pogo orientabile ed inclinabile, ed il discreto set di Mike Mangini, con piatti e tamburi su due livelli che fanno da cornice al batterista.


Sono da poco passate le nove, i Dream Theater salgono sul palco ed un boato li accoglie. Sentire un coro del genere sugli spalti del Teatro mi ha fatto venire i brividi dal piacere. Nel mio mondo ideale su quel palco ci sarebbero i Nuclear Assault o gli Overkill, ma nella vita bisogna sapersi accontentare.
Non sono in grado di fornire delle impressioni dettagliate brano per brano, come già detto dei Dream Theater conosco solo i dischi di inizio carriera. Il concerto scorre piacevole: John Petrucci su tutti domina con discrezione il palco come se stesse facendo la cosa più semplice del mondo, potente e preciso, motore del gruppo, con il resto della band che segue a ruota. Insomma, sono dei mostri e su questo c’è poco da dire. Le uniche lamentele che percepisco attorno a me riguardano James LaBrie, che non ha più la voce di un tempo e fatica quando deve andare su. Ad ogni parte strumentale il cantante sparisce dietro il palco per poi tornare, bere un sorso d’acqua e ricominciare a cantare. Mi sono chiesto per tutto il concerto cosa ci fosse dietro quel benedetto palco: una bombola d’ossigeno? Un notaio che raccoglie le sue ultime volontà? Arancini? Donne nude? Un bel coin-op con gettoni infiniti? Non lo sapremo mai. Ad ogni modo, trovo che le critiche nei suoi confronti siano eccessive: è fisiologico che non canti più come vent’anni fa, e nella sua zona di comfort vocale la prestazione è buona, i problemi veri vengono fuori solo quando deve salire molto con la voce. E poi, tra un brano e l’altro, il cantante si concede delle brevi parentesi da cabarettista che strappano qualche risata al pubblico. Che volete di più, il caffè?
Come dicevo, il concerto scorre piacevole ed i brani si susseguono, tratti per lo più dall’ultimo album e dal materiale più recente. Le uniche eccezioni sono Peruvian Skies a metà concerto e la coppia The Dance Of Eternity/Lie sul finire. Ed è proprio quando eseguono questi due brani che capisco qual è, per me, il vero problema di questo concerto. Durante questi due brani, almeno alle mie orecchie, il concerto smette di essere semplicemente piacevole e diventa entusiasmante. La qualità del loro vecchio materiale è di gran lunga superiore al loro repertorio recente (e pure meno recente), più dinamico, ispirato e brillante. Il concerto si chiude con Pale Blue Dot (sicuramente il mio brano preferito del concerto, escludendo i vecchi brani) e As I Am. Il mio breve entusiasmo si spegne sulle note dell’ultimo brano.



Il concerto finisce, un’ora e trenta spaccata di musica. Sulla via del ritorno, camminando verso il parcheggio, sento molti lamentarsi per la durata risicata dello spettacolo. E se in parte capisco il rammarico per una scaletta troppo breve, soprattutto in presenza di brani così lunghi, dall’altra mi sembra evidente che la condizione di James LaBrie condizioni le scelte della band. E se posso sorvolare sulla durata dell’esibizione, più mi amareggiano i limiti sulla scaletta: nessun brano da Images And Words, pochissimi dal periodo che conoscevo (che finisce con Scenes From A Memory). Limiti che mi hanno fatto godere un concerto piacevole, ma mi hanno rubato un concerto entusiasmante.

Piccola curiosità: alla fine del concerto mia sorella mi ha ricordato che io avevo già visto i Dream Theater dal vivo, nel 2000, a Roma, con il padrone di casa, il Sig. Given To Rock, che conosco da una vita. Ed io non ricordo niente. Che cosa cretina la memoria. E comunque in quell’occasione hanno fatto solo due mezzi pezzi da Images And Words, un medley di Metropolis e Pull Me Under. Bastardi, me lo fate apposta.

La scaletta del concerto:

- Untethered Angel
- A Nightmare To Remember
- Fall Into The Light
- Peruvian Skies
- Barstool Warrior
- In The Presence Of The Enemies, Part I
- The Dance Of Eternity
- Lie
- Pale Blue Dot

Encore:
- As I Am
Giovanni Gagliano

Passionate about music I wrote my first article for "Given To Rock" in 2012, reaching now 30K global followers. I am also a musician, gigging around London.

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